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Licenziamo il governo, cambiamo la manovra

Europa e Italia possono uscire dalla crisi ridimensionando la finanza,
rilanciando produzioni sostenibili,
ridistribuendo la ricchezza.

Domenica Perna

La crisi finanziaria che sta colpendo gli Stati Uniti e l’Europa non è una catastrofe naturale, ma la conseguenza della politica economica degli ultimi 30 anni, riassumibile nello slogan “Meno stato più mercato”: stipendi e salari bassi, meno spese sociali, privatizzazione di beni e servizi, meno tasse sulle grandi ricchezze, piena libertà alle imprese anche quando licenziano, portano capitali e fabbriche all’estero, evadono il fisco. Ciò ha portato all’indebitamento delle famiglie, costrette sempre più a ricorrere ai prestiti, e degli Stati che, tenendo basse le tasse ai ricchi, hanno dovuto aumentare l’emissione di titoli di stato per finanziarsi. Le grandi banche speculano sull’indebitamento dei privati e del pubblico, dando loro prestiti a interessi sempre più alti, finché famiglie e Stati non ce la fanno più a sostenere il peso dei debiti accumulati.

Il governo Berlusconi per due anni ha negato la crisi e poi ha fatto tre manovre economiche (luglio 2010, luglio e agosto 2011) per 131 miliardi di euro di tagli della spesa pubblica. Manovre che vogliono rimediare alla crisi con le stesse politiche che l’hanno causata: ridurre la spesa pubblica; privatizzare beni e servizi di Stato e Comuni, sottomettere il lavoro dipendente.

Il governo si comporta come i medici di una volta: al malato opera un salasso finendolo di dissanguare.

Le manovre del governo tagliano finanziamenti a scuola, sanità, Comuni e Regioni, pensioni, stipendi dei lavoratori pubblici, per pagare agli speculatori finanziari più alti tassi di interesse, in un vortice senza fine.

Nonostante questi pesanti sacrifici chiesti sempre a lavoratori pensionati e famiglie, non ci sarà ripresa economica, sia perché la manovra non prevede investimenti per il rilancio dell’economia reale, sia perché essa, riducendo il potere d’acquisto delle famiglie, non farà crescere la domanda di beni e servizi. Tale domanda, infatti, cresce solo se aumentano i salari e/o i posti di lavoro.

L’ultima manovra del 13 agosto 2011, che in questi giorni il Parlamento dovrà convertire in legge:

- Non tocca l’evasione, stimata in circa 200 miliardi di sommerso fiscale e previdenziale
- Non tocca le spese militari (27 miliardi), l’acquisto dei bombardieri F35 (14 miliardi), le missioni all’estero
- Non tocca le rendite finanziarie e i patrimoni immobiliari milionari
- Non intacca i privilegi dei parlamentari nazionali e regionali
- Non aumenta la tassazione progressivamente al reddito, come prevede l’art. 53 della Costituzione
- Non impone regole più severe contro la speculazione finanziaria
- non crea fondi per lo sviluppo dell’economia reale
• taglia 10,5 miliardi di finanziamenti a Comuni e Regioni, per cui i cittadini si vedranno aumentare le tasse o diminuire i servizi (mensa, rifiuti, trasporti, ecc.)
• innalza a 65 anni l’età pensionabile delle lavoratrici dal 2016;
• elimina il riscatto degli anni del militare e della laurea dal calcolo dell'età pensionabile
• opera ulteriori tagli allo stipendio dei dipendenti pubblici, che potrebbero perdere la tredicesima e ricevere con due anni di ritardo la liquidazione
• Privatizza i servizi pubblici contro la volontà popolare espressa nei referendum del 12 giugno 2011
• Taglia gli incentivi alle fonti rinnovabili e le agevolazioni alle cooperative, gli unici due settori in crescita
• Rinvia a una legge costituzionale la soppressione delle province e il dimezzamento dei parlamentari
• Umilia i lavoratori, i cui salari, i cui diritti, le cui libertà diventano subordinati agli interessi delle imprese, attraverso il ricorso a contratti aziendali in deroga a leggi e contratti nazionali, che possono perfino prevedere licenziamenti senza giusta causa, vietati dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori
• offende la coscienza democratica con la soppressione del 2 giugno, 25 aprile, 1 maggio, date che ricordano che l’Italia è una Repubblica; nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro; nega gli articoli 41 e 81 della Costituzione che prevedono che la libera iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e la dignità umana, riservando allo Stato il compito di indirizzare l’attività economica ai fini sociali, e di intervenire per migliorare le condizioni dei cittadini.

Occorre, invece, difendere il lavoro, i servizi, le pensioni; rilanciare l’economia dell’innovazione e della conoscenza; sostenere i Comuni e lo sviluppo locale;
tassare i grandi patrimoni, ridurre le spese militari e i privilegi degli onorevoli.
Ma non basta. Occorre un’alternativa di governo che metta al centro l’occupazione, la difesa dei cittadini a basso e medio reddito, la qualità della vita. Un’alternativa di governo che ridia speranza e futuro.

 
 
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