Se la terra è in vendita

a cura di Angelo Moreschini

Governo nazionale e Giunta regionale mettono a punto un “combinato disposto” di provvedimenti mirati a eliminare i vincoli sul patrimonio pubblico costituito dalle terre demaniali dello Stato, dalle terre demaniali della Regione e dalle terre di uso civico delle Università Agrarie. La conseguenza è la svendita del bene comune “terra” a favore della speculazione edilizia.

L'ennesimo e più duro attacco al patrimonio dei territori rurali del paese arriva con l'art. 7 della legge di stabilità figlia del governo Berlusconi e nella sostanza portata avanti dal governo Monti. In concomitanza la Regione Lazio sta per varare una serie di misure che minacciano l’esistenza delle terre d’uso civico e dei Parchi naturali, inclusa l'idea stessa di "area protetta".

L’Art 7 della legge di stabilità del novembre 2011 (ultimo atto del Governo Berlusconi) porta con sé un attacco alla montagna, ai parchi naturali e ai terreni agricoli ma non utilizzati. Si prevede la vendita di ben 380 mila ettari di patrimonio indisponibile dello Stato o delle Regioni con la logica di darla ai giovani agricoltori sotto i 40 anni. Parlare di nuovi insediamenti agricoli di giovani imprenditori quando il badget iniziale necessario all’acquisto delle terre sarebbe di centinaia di migliaia di euro, lascia immaginare quanti potrebbero essere i giovani senza occupazione in Italia a disporre di tali risorse per tornare come i loro nonni a lavorare la terra.
La grande preoccupazione, della rete dei contadini e di alcune associazione nazionale di agricoltori (quelle grandi purtroppo concordano con questa scelta del Governo), è che queste terre non andranno ai giovani, ma finiranno in mano a speculatori che dopo qualche anno chiederanno il cambio di destinazione d'uso dei terreni da agricolo a edificabile. La cosa ancora più grave è che questo cambio d’uso può avvenire anche nelle aree protette.
Noi diciamo che la terra ai giovani va data, certamente, ma in gestione ed a canoni equi, meglio ancora in comodato d’uso, con norme chiare e di garanzia per un utilizzo sostenibile che tuteli la biodiversità insieme ad una corretta manutenzione del territorio contro il dissesto idrogeologico.

La proposta di legge regionale adottata alcuni mesi fa dalla Giunta Regionale del Lazio di “riordino/scioglimento” delle Università Agrarie prevede per gli Enti Agrari tre possibili soluzioni: l’accorpamento, lo scioglimento, il mantenimento in vita. Benché dichiari l’ovvio obiettivo di “…razionalizzare la spesa pubblica e di promuovere scelte di investimento e di sviluppo nel campo agro-silvo-pastorale ed ambientale…” in realtà non fornisce alcun criterio di come ciò debba essere fatto e rimanda ad un “regolamento di attuazione e integrazione” da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore della nuova legge. Se nel Lazio tale proposta divenisse legge dando piena delega ai Comuni, non solo riguardo alla gestione ordinaria ma anche alla pianificazione delle ex terre civiche, ci potremmo trovare davanti alla svendita della nostra terra. Se a questa ipotesi aggiungiamo le possibilità di edificare “in deroga” introdotte con il recente Piano casa dalla giunta Polverini, allora il disegno appare più chiaro e il condizionale ipotetico cade lasciando intravedere i contorni di un nuovo tsunami cementizio.

In sostanza è questo il modo attraverso il quale la destra nazionale è capace di rispondere alla crisi economica: privatizzare le terre pubbliche incolte; vagheggiare nuovi insediamenti agricoli di giovani imprenditori per, in realtà, fornire alla speculazione edilizia, ancora considerato motore dell’economia, territori vergini da cementificare.
Queste decisioni non cancellano i veri sprechi della politica regionale e, mentre da un lato procurano esigui incassi per le finanze pubbliche, dall’altro non aiutano la ripresa del settore agricolo e per di più aboliscono antichi diritti di uso civico che proteggono i terreni collettivi, spesso costituiti da boschi e pascoli incontaminati.

 
 
 
 

 

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