Un Paese democratico non può celebrare un gerarca fascista

di Pino Salinetti

Rodolfo Graziani non è “un cittadino illustre”,”un soldato” da celebrare e proporre ad esempio, non può essere un vanto per una comunità o un “punto di riferimento” per una valle, bensì un esponente di rilievo del regime fascista di cui fece propria e applicò la tirannia, il razzismo, la crudeltà contro altri popoli e contro il suo popolo. Un uomo da conoscere per non imitare.

Tra il 2008 e il 2010 l’Amministrazione comunale di Affile ha ottenuto circa 230 mila euro di soldi pubblici dalla Regione Lazio per la sistemazione di un parco comunale. Poi, nel 2011-2012, oltre a riqualificare il parco ha eretto un sacrario che ha intitolato al soldato maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani. La sua inaugurazione, avvenuta l’11 agosto 2012, ha suscitato sdegno soprattutto sulle maggiori testate internazionali, sorprese e scandalizzate dal fatto che gli italiani ancora celebrino un sanguinario gerarca fascista.
Le autorità civili, religiose e politiche presenti all’inaugurazione hanno dichiarato di voler “onorare il più illustre cittadino di Affile” , che “tanti affilani orgogliosamente rivendicano la lealtà, la coerenza e l'eroicità del loro ‘Grande Concittadino’”, che “il generale Rodolfo Graziani è da sempre un punto di riferimento per noi della valle dell’Aniene” . Credo, al contrario, non abbiano reso un buon servizio alla loro gente né abbiano rispettato la Costituzione della repubblica italiana, dato che la pubblica celebrazione ed esaltazione di esponenti del Partito Nazionale Fascista è reato di apologia del fascismo, ai sensi dell’art. 4 della legge 645/1952, che attua la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

Di fronte a questo fatto l’associazione “Rete per la storia e la memoria della Resistenza nella valle dell’Aniene”, fondata nel 2008 e che a oggi riunisce 6 comuni e 9 associazioni, ha inviato una mozione a tutti i sindaci della media e alta Valle, alla IX e alla X Comunità Montana del Lazio (allegati 1 e 2).
In essa si ricorda innanzitutto chi è stato Rodolfo Graziani. Egli fu l’artefice della spietata repressione della rivolta anticolonialista libica, avvenuta tra il 1921 e il 1931, condotta con operazioni di “pulizia etnica” attraverso la deportazione di intere popolazioni, il loro internamento in campi di concentramento, la morte per denutrizione e maltrattamenti; crudeltà che gli valsero il soprannome di “macellaio di Fezzan” attribuitogli dai libici, ma anche la tessera ad honorem del Partito Nazionale Fascista e la nomina di Vice-Governatore della Cirenaica.
Nel 1935-1936 Graziani partecipò alla guerra di aggressione fascista all’Etiopia (allora chiamata Abissinia) distinguendosi per l'uso di armi chimiche vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1925, e per i metodi spietati con i quali perseguiva il completo assoggettamento della popolazione, l’annientamento della classe dirigente etiope, la repressione della chiesa copta. Per queste imprese fu nominato viceré d’Etiopia.
Nel 1938 Graziani aderì al “Manifesto della razza” e sostenne le leggi razziali fasciste; dopo l’8 settembre 1943, nominato ministro della difesa della Repubblica Sociale Italiana, emanò i bandi di arruolamento per i giovani del 1924 e 1925 e il richiamo alle armi delle classi 1922 e 1923. Nei bandi si legge: “Gli iscritti di leva (…) che (…) non si presenteranno alle armi nei tre giorni successivi a quello prefisso, saranno considerati disertori di fronte al nemico (…)e puniti con la morte mediante fucilazione al petto” . Graziani assunse il comando diretto di un’armata e mise le sue truppe al servizio dei tedeschi nella lotta contro i Partigiani.
Dopo il 25 aprile 1945 Graziani scampò alla cattura e alla fucilazione da parte dei Partigiani consegnandosi alle truppe Alleate, le quali lo imprigionarono e un anno dopo lo consegnarono alla giustizia italiana. Nel 1950 il Tribunale speciale militare di Roma lo condannò a 19 anni di carcere per “collaborazionismo militare col tedesco” . Secondo le imputazioni Graziani, nella veste di ministro della difesa della RSI, operò “spingendo gli italiani alla guerra fratricida” assumendosi la “responsabilità delle razzie, deportazioni, spoliazioni e assassini di cittadini e di patrioti” . Graziani scontò 4 mesi, poi venne liberato in base ai decreti di amnistia dei reati commessi durante l’occupazione nazifascista. La richiesta dell’Etiopia ai governi Alleati e all’ONU di intentare un processo a Graziani e ad altri generali e gerarchi fascisti per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, non fu accolta ma tenuta in conto nelle trattative sul nuovo assetto delle ex colonie italiane in Africa.

Lo studio degli avvenimenti e la pratica della memoria che dobbiamo sempre esercitare, ci ricordano che la valle dell’Aniene dal settembre 1943 al giugno 1944 fu occupata dall’esercito tedesco e da esso adibita a retrovia della “Linea Gustav”.
Ci ricordano che la popolazione della valle nella sua quasi totalità non collaborò con i nazifascisti, disubbidì ai loro ordini nascondendo e sfamando circa 4000 tra giovani renitenti alla leva e soldati italiani sbandati; assistette circa 1800 prigionieri alleati in fuga; costituì reti di solidarietà e bande partigiane in diversi Comuni, le quali sostennero le famiglie contadine nella protezione dei loro beni e nell’assistenza ai renitenti, ai soldati e ai prigionieri nascosti; compirono azioni di sabotaggio; difesero ponti, centrali e altre infrastrutture dalla distruzione dei tedeschi in fuga.
Ciò costò alle popolazioni della valle dell’Aniene angherie e violenze dai nazifascisti: 91 civili furono uccisi e 35 feriti nelle quattro stragi, durante i 52 rastrellamenti e nelle azioni di sabotaggio; 78 civili furono deportati in Germania, 1600 presi come ostaggi; 300 abitazioni furono requisite e almeno 4000 capi di bestiame razziati.
Lo stesso Comune di Affile fu oggetto di ripetuti rastrellamenti, durante i quali vennero uccisi due uomini; tre famiglie, accusate di aver aiutato prigionieri Alleati, furono deportate in campi di concentramento tedeschi, da cui diversi membri non fecero ritorno.

Pensando alla voglia di pace e di libertà dei nostri padri e madri, nonne e nonni, che crediamo in tutto eguale a quella dei libici e degli etiopi oppressi dal colonialismo italiano; ricordando come questa aspirazione sia stata brutalmente stroncata da uomini fanatici come Rodolfo Graziani; e vedendo che egli viene ancora oggi celebrato, ci pervade un sentimento di rabbia e amarezza, lo stesso che un gruppo di giovani affilani ha espresso in una lettera al presidente dell’ANPI (allegato 3).

L’onore degli affilani, degli abitanti della valle dell’Aniene, degli italiani fu infangato proprio dalla dittatura fascista e dalla sua subalternità al nazismo, di cui i massimi responsabili furono Mussolini, i generali e i gerarchi che lo sostennero perfino nella Repubblica Sociale Italiana e nella guerra civile. Fu invece la Resistenza, la lotta di liberazione armata e non armata di tanta parte della popolazione, a riscattare l’Italia e gli italiani da 20 anni di dittatura fascista, di brutale colonialismo, di leggi razziali e di collaborazionismo con il nazismo; a risollevare moralmente e civilmente la nazione; a fondare la Repubblica italiana e a darle la Costituzione ancora oggi vigente che fissa i valori che regolano la convivenza democratica di tutti i cittadini;

Nella mozione sopra ricordata, la “Rete” propone ai Consigli comunali, rappresentanti delle comunità locali, di esprimere la propria indignazione nei confronti dell’edificazione di un sacrario a Rodolfo Graziani, in quanto esso rappresenta un insulto alla verità storica della liberazione della nostra patria dall’occupazione nazifascista, della costruzione della Repubblica italiana e della Costituzione democratica; un’offesa alle vittime dei massacri da lui ordinati in Libia, in Etiopia e delle rappresaglie contro Partigiani e civili nell’Italia occupata dai tedeschi; un oltraggio alle decine e decine di vittime delle stragi nazifasciste delle Pratarelle (Vicovaro), Madonna della Pace, Colle Siccu (Castel Madama-Tivoli) e Valle Brunetta (Cervara di Roma), e alle popolazioni di Affile e della valle dell’Aniene che subirono nove mesi di occupazione, di razzie, saccheggi, rastrellamenti, rappresaglie.

Un altro aspetto deplorevole della vicenda è l’uso improprio di soldi pubblici per erigere un sacrario ad un generale fascista condannato per collaborazionismo con i tedeschi e accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, soprattutto in questi anni di crisi.

La mozione si conclude con tre richieste: al Presidente della Repubblica affinché solleciti il Parlamento ad emanare una legge che vieti l’intestazione di monumenti, sacrari o pubbliche vie e piazze a personalità condannate per gravi reati contro l’umanità e contro la Repubblica nata dalla Resistenza; al Presidente della Regione Lazio affinché revochi il contributo al Comune di Affile per la costruzione del sacrario a Rodolfo Graziani; al Sindaco di Affile affinché demolisca tale sacrario ed eriga al suo posto un monumento ai cittadini di Affile e della valle dell’Aniene vittime dell’oppressione nazifascista.

 
 
 
 



Gerarchi fascisti e nazisti presenti ai funerali di Arturo Bocchini, capo della Polizia italiana durante il fascismo, tenutisi a Roma, il 21 novembre 1940.
Si riconoscono, da sinistra a destra: Karl Wolff, Reinhard Heydrich, Heinrich Himmler, Emilio de Bono, Rodolfo Graziani, Hans Georg von Mackensen.

 

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